C’è un gioiello, adesso molto raro, che unisce idealmente le due capitali antiche dei mercati via mare, Venezia e Costantinopoli (oggi Istanbul). La catenella Manin è forse l’emblema dell’oreficeria veneziana. Simbolo di ricchezza, l’oro di questo gioiello ornava nobildonne e mogli di mercanti, che indossavano più fili delle lunghe catene realizzate con una tecnica ‘bizantina’.
La storia riporta che i veneziani impararono la difficilissima lavorazione a Costantinopoli nel VI secolo. Anche detta ‘intrigosa’ o ‘entercosei’, proprio per la complessità della manifattura, la catena è composta da un filo d’oro 22 carati. Il processo consiste nel fare piccoli anelli, con sezione cava semicircolare, da saldare insieme a formare una maglia fine.
Questo lavoro di cesello permetteva di ricavare da 1 grammo d’oro una catena di 12-15cm: una tecnica molto difficile e costosa da realizzare, che nel Settecento, all’epoca di Casanova, raggiunse il suo massimo splendore. L’oro delle catenelle Manin era utilizzato come dote per le figlie, tra cui la madre divideva in parti uguali il gioiello, che poteva essere lungo anche 60 metri. “Un filo di Manin a testa” come si usava dire nelle famiglie veneziane quando di mezzo c’era un’eredità. Al giorno d’oggi, invece, è difficilissimo trovare catene Manin molto lunghe. L’oro, si sa, rappresentava il valore reale della ricchezza borghese. Di fronte ad una committenza molto esigente e alla prosperità mercantile della Serenissima nacquero così tante botteghe artigiane. Come avvenne anche a Firenze, dove i mestieri e le arti si riunirono e organizzarono in corporazioni, anche a Venezia si formò la Scuola o Arte degli Oresi, dal ‘200 al ‘700.
Alla fine del XVIII secolo gli orefici veneziani erano più di quattrocento, quasi cinquecento i tiraoro e battioro, i diamanteri da tenero quasi 80 e da duro quasi 30. Il marchio di riferimento di questi artigiani era il nobile simbolo del Leone di San Marco. Le botteghe orafe si concentravano nelle rughe del Ponte di Rialto e, tra queste, la più celebre del Settecento diventò la manifattura Manin.
L’ultima curiosità è proprio legata al nome della catena, “Manin”. Il riferimento è in onore ad una famiglia di origini antichissime, che a Venezia ottenne fama, ricchezza e onore. I Manin, nel 1740, erano i più ricchi tra tutti i nobili veneziani iscritti nel Libro d’Oro, che attribuiva loro ottantamila ducati di reddito annuo, oltre a duecentomila ducati in contanti e lo stesso valore in gioielli.
Manin fu anche Ludovico, l’ultimo doge di Venezia, colui che nel 1797 presiedette la seduta del Maggior Consiglio con cui finirono gli undici secoli della gloriosa repubblica della Serenissima. Due esempi di catena Manin saranno in catalogo nell’asta n. 24 di Curio a novembre (Le Immagini possono essere soggette a Copyright).
Stefania Farinelli
Maggio 9, 2020Ho Appreso con grande piacere notizie sulla catena Manin.
Molto interessante l’accenno al cofanetto delle gioie della Duchessa francese.
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Grazie infinite.
Stefania Farinelli